Le favole più belle sono quelle che, per antonomasia, iniziano con “c’era una volta”. Si restava incantati a sentir leggere il papà o i nonni, che talvolta aggiungevano dettagli completamente inventati. Fiabe e miti, per definizione, narrano le gesta di eroi ma in sfondi storici e, sebbene si tratti di racconti frutto della fantasia degli autori, contribuiscono a scrivere la tradizione di un popolo, ponendo le basi per il futuro dei posteri: si tratta di cultura, di antropologia.
Come l’antica leggenda della donna che lavorava come serva di una ricca famiglia; per limitare le grosse difficoltà nel far quadrare i conti quotidianamente, ideò un piatto a base di carne: un pasto consistente, che potesse essere conservato a lungo e che permettesse di utilizzare tutte le interiora del vitello, normalmente scartate dal cuoco ufficiale della famiglia. Nello sminuzzare le frattaglie in tanti piccoli pezzi messi insieme (come si dice nel dialetto catanzarese “morza morza”) diede vita al “Morzello”!
La ricetta vorrebbe che l’alloro non venga aggiunto: il suo utilizzo era, ed è tuttora, contemplato come un “mazzetto” con il quale mescolare il preparato, da servire nel piatto o preferibilmente, nella pitta, rigorosamente “a’ rota e carru” (lunga e stretta, per intenderci).
Nella tradizione culinaria catanzarese simboleggia quindi un pasto povero, fin dal 1800, quando era il pranzo della classe operaia di metà giornata. Per la città di Catanzaro si è affermato come “L’Illustrissimo” conosciuto a livello nazionale e attorno al quale sono state costituite congreghe e associazioni e per il quale non mancano approfondimenti televisivi. Perché il Morzello, alla stregua dei Tre Colli e del vento, è uno dei simboli della “catanzaresità”.
Quei simboli portati avanti da volti storici della ristorazione locale, da più di mezzo secolo. Commercianti e ristoratori che hanno tramandato questo blasone alle generazioni future. Un testimone raccolto da alcuni ragazzi che, innamorati di questa storia e con un fortissimo senso identitario, hanno avuto il coraggio di investire e aprire una “putica nostalgica” nella quale il Morzello fosse l’unico protagonista.
Parliamo di Silvano Confessore, Gianluca Floris, Roberto Galera e Tommaso Marino, quattro giovani imprenditori che tutti i giorni, in un luogo culto della città come “a’ scinduta dei barracchi” (precisamente Via Mario Greco, alle porte del centro), indossano il grembiule ed entrano in cucina per regalare ai clienti, a pranzo e a cena, delle storie; anzi, per accompagnarli nella storia di Catanzaro.
Ideale per la pausa pranzo o per una cena in armonia, la “Morzelleria de’ Barracchi” concede agli stessi avventori, per affrontare questo viaggio spaziotemporale, un “mantello”: un grembiule, perché, da tradizione, il morzello “scula gargi, gargi” se servito nella pitta!
Ma non solo: è possibile anche scegliere lo Spezzatino, il Soffritto o il Morzello di Baccalà, oltre ai prodotti per stuzzicare l’appetito, come salumi, formaggi, sottoli. Immancabile il vino della casa, rigorosamente “allungato” con la gazzosa, come tradizione impone! E a questi ragazzi occorre riconoscere il merito di aver osato, di crederci e aver avvalorato una tradizione popolare con idee nuove, con sensibilità e rispetto verso la storia, mettendo estro e cuore nel riempire lo stomaco e l’immaginazione dei clienti.